Domenica 16 maggio 2010 - 12° giorno di cammino: Ourense-Cea. 22 km (tot. 315)

Oggi è domenica e ci aspetta una tappa tranquilla, relativamente corta, domenicale appunto. Per la mia famiglia poi oggi è festa doppia, visto che è anche il compleanno di Cristina: la giornata luminosa e la temperatura mite che ci accolgono al risveglio sono perciò per me fonte di doppia gioia.
Ormai, giunti alla quint'ultima giornata di cammino, sentiamo vicina la meta e inizia a manifestarsi una sensazione che ricordo provai anche due anni fa negli ultimi giorni del precedente pellegrinaggio: da un lato, la gioiosa consapevolezza che si sta per raccogliere il frutto di tanta fatica e che un percorso di vita, pur limitato e in buona parte "simbolico", sta per trovare il proprio compimento; dall'altro, una certa malinconia per il fatto che sta per finire una bella esperienza, bella già in quanto tale e non solo per la meta che ha come proprio obiettivo e realizzazione.
Il cammino in sè è, o almeno così l'ho vissuto in entrambe queste mie esperienze, di per sé un momento di vita forte, profondo, alla fine del quale non ci ci ritrova uguali a come si era quando lo si è iniziato. Camminando si impara la bellezza del lento fluire dello spazio e del tempo; del faticare senza lagnarsi e senza scoraggiarsi; del saper attendere che ciò che si desidera si compia secondo ritmi, modi e tempi su cui non si può incidere se non marginalmente, ma ai quali al contrario si deve imparare ad adattarsi e nei quali si viene in un certo senso accolti e inseriti; dello sperimentare che si può vivere con un decimo degli oggetti di cui normalmente ci pare di non poter fare a meno; del saper camminare per ore da soli e nel silenzio senza sentirsi soli; del poter riflettere, talora toccare con mano, sulla reale e amorevole presenza della Provvidenza al proprio fianco. Soprattutto, ci si sente parte di quel secolare flusso di uomini e di fede che dal medioevo a oggi è il pellegrinaggio ai luoghi santi della cristianità. Anche e soprattutto oggi, in un tempo nel quale la secolarizzazione della società tende a desacralizzare e a distorcere ogni forma di spiritualità e quindi anche queste realtà, nate, sviluppatesi e vissute per centinaia di anni come atti e segni della devozione dei cristiani verso i testimoni di Cristo, primi fra tutti i martiri.
Esiste anche, come è normale che sia, un "lato B" della medaglia, che mi è parso di cogliere in alcune persone incontrate sul cammino: quello di vivere questo genere di esperienze non per quello che sono e che è bene che siano, cioè una fase comunque temporanea e transitoria della propria vita, ma come fuga dalla realtà e dal peso della vita quotidiana. Oggi, come peraltro anche in passato, insieme a pellegrini si incontrano vagabondi, persone che semplicemente "viaggiano", non in direzione di un luogo preciso e per un motivo altrettanto preciso ma, perlomeno apparentemente, senza meta. Alcune situazioni personali incontrate mi paiono francamente cariche di tristezza interiore, di solitudine, di incapacità di vivere i problemi, gli impegni e gli sforzi quotidiani, di fuga - appunto - dalla realtà. In effetti, i "vagabondi" sono sempre esistiti (in gioventù, per quasi un anno io stesso ne ho arricchito le fila, per cui parlo di ciò che anche personalmente conosco) e per certi versi credo di poter dire che anch'essi testimoniano un aspetto della sofferenza dell'umanità.
Tornando alla giornata odierna, dopo aver pestato un sasso sporgente vedo le stelle e realizzo che da alcuni giorni mi duole spesso la pianta del piede sinistro, probabilmente a causa dell'affaticamento provicato dai "tapponi" di montagna dei giorni scorsi. Credo si tratti di un'infiammazione tendinea (che non mi abbandonerà più fino all'arrivo a Santiago e, con alti e bassi, continuerà a farsi sentire anche una volta rientrato a casa: la vecchiaia non è teoria, è realtà!...) e che fortunatamente in questi ultimi giorni, con tappe un po' più brevi e con dislivelli molto più contenuti, potrò comunque tenere abbastanza agevolmente sotto controllo.
Il percorso si snoda attraverso dolci paesaggi collinari, con un clima che si fa ogni ora più gradevole, pur con la temperatura rigida del primo mattino. Il blu del cielo, il verde dei campi e dei boschi, il giallo delle ginestre e il rosa carne del brezo (l'arbusto tipico delle montagne e colline di queste zone) creano tavolozze di colore che lasciano estasiati...
Scopriamo che Cea è la "capitale del pane", nel senso che il pane qui prodotto è in effetti ottimo ed è addirittura a DOP! All'arrivo all'albergue troviamo l'acqua delle docce gelata: un gruppo di ragazzi catalani, arrivati presto, ha pensato bene di divertirsi a vuotare il boiler per far fare la doccia fredda alle ragazze del gruppo. Peccato che la bella idea l'abbiano avuta PRIMA che gli altri pellegrini potessero lavarsi... anche questo è cammino... Alla fine, il gruppo di vitellozzi si dimostrerà poi assolutamente normale, intendendo con "normale" anche il fatto che si fanno le canne!... In ogni caso, viste le premesse, i catalani gaudenti avranno nei giorni successivi un comportamento corretto e rispettoso verso gli altri pellegrini.
Nel rifugio ci sono anche i due pellegrini piemontesi incontrati la prima notte a Zamora, il "dongiovanni" Lorenzo e il suo amico Franco, e il pellegrino francese Jean Michel, che vive a Lourdes, con i quali la sera condivideremo una bella cena a base di pulpo, assordati dal tifo, più che PRO-Barcellona ANTI-madrilista, dei clienti del locale, che assistono all'ultima partita del campionato spagnolo di calcio con una partecipazione talmente smodata da far impallidire il tifo italiano.

Con Luciano e Antonio, prima di cena, facciamo due passi per il paese, passando dalla sua bella Plaza Mayor e bevendoci una fresca birra al bar "O Vaticano", dove incontro nuovamente il pellegrino sudafricano, Frank, che ho già trovato ieri sera a Messa a Ourense. Ne approfittiamo per fare due chiacchiere (scopro che è Sudafricano, ma figlio di genitori portoghesi là emigrati), farci una foto insieme e scambiarci le rispettive e-mail.
Vale la pena raccontare un aneddoto al riguardo.
Incontrerò nuovamente Frank il giorno dopo lungo il cammino per Castro Dozon: procede alla velocità di un bradipo, ma con grande tenacia e costanza, grazie alle quali evidentemente cammina per molte ore, probabilmente senza fermarsi o quasi, perchè vedo che sta facendo le nostre stesse tappe. Fatto sta che camminerò con lui meno di un minuto e lo distaccherò immediatamente senza sforzo (e dire che io stesso non è che a camminare sia propriamente un jet...). Bene, che ti combina il buon Frank? Una volta giunti a Santiago, il giorno 20, andiamo alla Messa delle 12 in cattedrale. Esce la processione, con molti sacerdoti e con il Vescovo e cosa vediamo?... Ma uno dei sacerdoti concelebranti è proprio "Frank"! Fa un effetto stranissimo ripensare che questo pellegrino tranquillo e dall'aria paciosa fosse un prete!... Con commozione ricevo proprio da lui la Comunione. Purtroppo, alla fine della Messa lo perdo di vista e, nel caos di pellegrini che già in questo periodo dell'anno santo affollano Santiago, non riuscirò più a incontrarlo. Arrivato a casa, gli mando subito la nostra foto davanti al bar "Vaticano", con la battuta: "Attento, a volte certe "coincidenze" non sono coincidenze, ma possono essere profezie!...". Bene, Padre Frank come risposta mi manda questo link:
A questo punto, come si dice, resto basito e non so proprio più cosa dire, se non congratularmi con S. E. Francisco Fortunato De Gouveia e scrivergli di stare in ogni caso pronto: quella foto potrebbe davvero essere profetica... ;-)

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